Eternit, l'ultima provocazione di Schmidheiny

“E per noi – si domanda più avanti Romana Blasotti, che a causa della polvere avvelenata ha perduto una dopo l’altra le persone a lei più care – che negli ultimi giorni abbiamo subito altre quattro vittime d'amianto, quando finirà lo sconforto? Noi non possiamo liberarci dalla paura di ammalarci o peggio che si ammalino i nostri figli , i nostri nipoti”. Il processo d’appello di Torino del giugno 2013 ha elevato la pena dai 16 anni comminati in primo grado nel febbraio 2012 – anche per il barone belga Louis de Cartier de Marchienne – a 18 anni di reclusione per Stephan Schmidheiny per disastro ambientale doloso permanente: 3.000 vittime, lavoratori e cittadini di Casale, Cavagnolo, Rubiera e Napoli. “La gran parte morti da mesotelioma come mio marito, che aveva lavorato all’Eternit, mentre mia sorella, mio nipote, mia cugina e per ultima mia figlia sono morti a causa dell'inquinamento ambientale”.
Le morti da amianto sono in crescita , solo a Casale Monferrato (35.000 abitanti) 2.000 famiglie negli ultimi 30-40 anni sono state colpite dagli effetti della fibra killer. “Perché – incalza il presidente dell’Afeva – affermare, come ha fatto nell’intervista Schmidheiny che ‘allora’ (l'Eternit in Italia ha cessato di produrre nell’86, ndr) non si sapeva che l'amianto era cancerogeno? Le asbestosi mortali sono state riconosciute in Europa e in America almeno dagli inizi degli anni quaranta. La cancerogenità dell'amianto è documentata in Germania prima della seconda guerra mondiale e riconosciuta con assoluta certezza scientifica almeno dai primi anni sessanta sulle pubblicazioni scientifiche internazionali”.
Non solo. Le stesse testimonianze rese in sede processuale dal fratello Thomas e da Leo Mittelholzer, ultimo amministratore delegato Eternit in Italia, confermano che degli effetti nocivi dell’amianto si parlava “normalmente” in famiglia e nell’entourage dell’imprenditore. E, del resto, la condotta dolosa del magnate è ampiamente documentata da verbali, lettere e documenti sequestrati dalla procura di Torino. “A Casale – conclude la lettera di Romana Blasotti Pavesi – per vent'anni siamo stati persino spiati per conto di Stephan Schmidheiny, come risulta dalla numerosa documentazione sequestrata: fatture di pagamento, relazioni periodiche, testimonianze. Vorremmo che si sappia: chiediamo solo la verità e un po’ di giustizia. Ne abbiamo il diritto”.